Qual è l’ambito applicativo della previsione di non punibilità ex art. 590 sexies c.p., introdotta dalla L. n. 24/2017?
Cassazione Penale, Sezioni Unite, 22 febbraio 2018, Sentenza n. 8770
Al ricorrente, specialista in neurochirurgia, veniva addebitato il comportamento omissivo per non aver effettuato tempestivamente la diagnosi della sindrome da compressione della “cauda equina” che aveva portato al differimento nell’esecuzione dell’intervento chirurgico che, in base alle regole cautelari di settore, si sarebbe dovuto eseguire in regime di urgenza.
Prima di trattare il caso di specie, occorre effettuare una breve premessa sulla disciplina della responsabilità penale professionale del personale sanitario, in particolare a seguito dell’introduzione dell’art. 590-sexies, c.p., con la Legge Gelli-Bianco.
Precedentemente l’entrata in vigore della novella legislativa, la tematica della responsabilità medica era disciplinata dal D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (decreto Balduzzi), con il quale si prevedeva che, qualora l’esercente la professione sanitaria si fosse attenuto alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali, accreditate dalla comunità scientifica, non potesse rispondere penalmente per colpa lieve.
Tale esenzione di responsabilità è stata superata dalla nuova legge che, eliminando la “graduazione della colpa”, ha disposto che se l’evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando vengono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida così come definite e pubblicate ai sensi di legge o, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, purché dette raccomandazioni siano adeguate alla specificità del caso concreto.
Il medico, dunque, deve intervenire seguendo quanto prescritto dalle linee guida, a meno che non vi siano ragioni che suggeriscano di discostarsene radicalmente.
L’intento della Riforma è, pertanto, quello di oggettivare e uniformare le valutazioni e le determinazioni del sanitario, in modo tale che il terapeuta non si trovi a dover decidere soggettivamente la terapia d’elezione.
E’ importante, però, sottolineare che, per quanto l’intento della Legge Gelli-Bianco sia quello di formare in maniera condensata un’utile guida per fornire le valutazioni e le determinazioni del medico circa le decisioni terapeutiche, essa mantiene un contenuto orientativo che va rapportato alle peculiarità del caso clinico in concreto, non potendosi considerare esaurita la disciplina dell’ars medica.
Da tali considerazioni, consegue che la disposizione in oggetto non troverà applicazione:
– negli ambiti che per qualunque ragione non siano governati da linee guida;
– nelle situazioni concrete in cui le raccomandazioni prescritte debbano essere disattese per via delle condizioni del paziente;
– nelle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo, come nel caso di errore nell’esecuzione materiale di atto chirurgico impostato secondo le linee guida per esso previste (sul punto, vedasi Cass. Pen., Sez. IV, 7 giugno 2017, n. 28187- Sentenza De Luca-Tarabori).
Sulla scorta di quest’ultimo assunto, il sanitario può invocare approdi scientifici che, pur non formalizzati nei modi previsti dalla legge, risultino di elevata qualificazione nella comunità scientifica; ciò costituisce un principio consolidato nella scienza penalistica e, cioè, quello secondo cui le regole di cautela ufficiali possono essere anche affiancate da regole effettivamente non codificate ma, in ogni caso, di maggiore efficienza nella prospettiva di un’ottimale gestione del rischio.
Opposto orientamento è stato patrocinato da Cass. Pen. Sez IV 19 ottobre 2017, n. 50078- sentenza Cavazza, secondo cui il rispetto delle linee guida, in base alla novella del 2017, sarebbe preteso soltanto in fase di selezione, restando estranee alla punibilità le condotte caratterizzate da imperizia nella fase esecutiva/applicativa.
Venendo alla sentenza che di seguito si riporta, mancando una sintesi interpretativa sulla questione, le Sezioni Unite hanno stabilito che l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
1) se l’evento si è verificato per colpa, anche lieve da negligenza o imprudenza; 2) se l’evento si è verificato per colpa, anche lieve da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; 3) se l’evento si è verificato per colpa, anche lieve da imperizia nella scelta di linee guida o buone pratiche mediche che non risultino però adeguate alla specificità del caso concreto; 4) se l’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, linee guida o pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico.
Alla luce dei criteri così enunciati, nel caso di specie, il contegno del sanitario non è risultato rientrare nell’ambito applicativo dell’ipotesi di non punibilità, avendo il medico l’obbligo di seguire il decorso della sintomatologia del paziente e, a seguito di ciò, effettuare l’intervento.
Un rimprovero a titolo di negligenza non rientra nel quadro applicativo della causa di non punibilità introdotta dalla Legge Gelli-Bianco.
Anche se si volesse considerare la condotta del medico imperita anziché imprudente, si tratterebbe in ogni caso di imperizia grave e comunque non potrebbe richiamarsi il rispetto delle linee guida che indicavano un termine di decompressione delle fibre che non è stato rispettato e ha cagionato un pregiudizio permanente al paziente.
I motivi del ricorso che avevano generato la rimessione alle Sezioni Unite sono stati ritenuti inammissibili non rientrando tra quelli idonei a fondare l’impugnazione dinanzi alla Corte di legittimità.
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