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Perché possa configurarsi il furto in abitazione deve sussistere il nesso finalistico tra l’introduzione in abitazione e l’impossessamento

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Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza 28 marzo 2019, n. 18792

Con la sentenza in esame la Suprema Corte di Cassazione si è espressa su uno degli elementi costitutivi del reato di furto in abitazione ex art. 624 bis c.p., ed, in particolare, sulla necessità che sussista un nesso finalistico tra l’introduzione nell’abitazione e l’impossessamento del bene altrui.

Nella pronuncia in disamina, il Supremo Consesso ha richiamato la giurisprudenza già esistente in materia e riferibile all’art. 625 c.p., di cui l’art. 624 bis c.p. avrebbe mantenuto la necessaria strumentalità dell’introduzione nell’edificio, da intendersi quale mezzo finalizzato alla commissione del furto.

Questa risulterebbe essere l’interpretazione più aderente al tenore letterale della norma in oggetto.

Non basta quindi un mero collegamento occasionale tra l’introduzione in un edificio e l’impossessamento di un bene altrui perché possa ritenersi configurabile il furto in abitazione.

Nel caso di specie, gli imputati erano stati processati perché, dopo aver occupato un’abitazione al fine di alloggiarvi temporaneamente, avevano sottratto dalla medesima abitazione un borsone. Il Supremo Consesso aveva quindi annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello, perché quest’ultima, nel confermare la condanna per furto in abitazione, aveva errato nel configurare il reato ex art. 624 bis c.p., invece che la più lieve fattispecie delittuosa del furto semplice.

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUARTA SEZIONE PENALE
Sent. Nr. 18792, Ud. Del 28.03.2019, Deposito del 06.05.2019

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere –
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –
Dott. CENCI Daniele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
D.A., nato a (OMISSIS);
M.S., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/10/2017 della Corte Appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Vincenzo PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. EPIDENDIO Tomaso, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
uditi i difensori:
– per D. l’avv. D’A. C., del foro di Vasto che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento. Deposita istanza liquidazione compenso.
– per M. l’avv. P. S., del foro di Roma in sostituzione dell’avv. O. A. come da nomina a sostituto depositata in udienza, che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO
1. D.A. e M.S. venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale Monocratico di Vasto, per rispondere “del delitto p. e p. dall’art. 110 e 624 bis c.p. e art. 625 c.p., n. 2, poiché, in concorso tra loro, al fine di trarre profitto per loro o per altri, accedevano all’interno dell’abitazione di proprietà di Ma.Gi., ove si impossessavano di un borsone in tessuto marca Funfit. Con l’aggravante di aver agito con violenza sulle cose consistita nel danneggiare l’infisso esterno dell’abitazione. Con la recidiva specifica reiterata specifica infra-quinquennale” Accertato in (OMISSIS).
Il GM del Tribunale di Vasto, all’esito di giudizio ordinario, concesse loro le circostanze attenuanti generiche da ritenere equivalenti all’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2 ed alla recidiva contestata, li condannava alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 600,00 di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.
La Corte di Appello di L’Aquila, pronunciando sull’appello degli imputati, con sentenza del 18/10/2017, confermava la condanna.

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di ufficio, il D. e la M., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
– M.S. con un primo motivo di ricorso deduce che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe mancante e/o carente e/o manifestamente illogica in ordine alla valutazione delle prove ex art. 111 Cost., comma 4, artt. 192 c.p.p. e ss..
Il difensore ricorrente ricorda che, con il primo motivo di gravame nel merito, l’imputata lamentava che malgrado non fosse stata acquisita la prova diretta del fatto contestato, posto che nessuno dei testi escussi aveva riferito di averli visti nell’atto di commettere il furto, né tanto meno all’interno dell’abitazione del Ma., il tribunale avesse ritenuto di poterne affermare la penale responsabilità sulla base di elementi privi di efficacia dimostrativa, neppure a livello indiziario.
Con riguardo al primo di questi, ossia il possesso del “presunto” borsone asportato presso l’abitazione del Ma., l’imputata deduceva che, trattandosi di un comune borsone, di tipo seriale e acquistabile in qualsiasi negozio di articoli sportivi o da viaggio, per di più privo di qualsivoglia segno distintivo che potesse contraddistinguerlo da altri, non poteva attribuirsi alcuna efficacia probatoria al “presunto” riconoscimento da parte del Ma., potendo ragionevolmente trattarsi di un articolo simile al suo, ma non proprio il suo.
La Corte territoriale -ci si duole- ha rigettato il motivo asserendo: “Che si tratti proprio di quel borsone è dimostrato dal suo riconoscimento da parte del Ma. cui fu restituito. Riconoscimento di cui non si può dubitare in quanto se è vero che si tratta di oggetto di tipo seriale, che non aveva segni distintivi, va detto che all’interno vi erano degli abiti della p. o.”.
Tuttavia, per la ricorrente il convincimento espresso dalla Corte territoriale si fonderebbe su di una erronea lettura delle testimonianze rese dai testi escussi, atteso che nessuno di questi ha mai riferito che all’interno del borsone “… vi erano degli abiti della p. o.”. In particolare, la p.o. in nessun passo della sua deposizione riferisce di aver subito il furto di indumenti, né riferisce la circostanza nella denuncia-querela. Invero – si sottolinea- il solo teste che ha riferito in merito è Z.N., il quale, nel rispondere alle domande del PM, ha risposto: “… Quel borsone, la stessa mattina rintracciamo il D. e la donna nei pressi del santuario di località (OMISSIS), e con loro portavano esattamente quel borsone all’interno del quale c’erano degli indumenti, diciamo, di loro proprietà. Quindi il borsone poi lo mostrammo al Ma., lo riconobbe come suo e glielo restituimmo”. Allo stesso modo alle successive domande del difensore che chiedeva cosa ci fosse dentro il borsone, ha risposto: “C’erano degli indumenti, se non ricordo..”… “Penso sia maschili che femminili. Cioè, se non ricordo male, sia maschili che femminili. Di entrambi”.
Ciò troverebbe conferma -prosegue la ricorrente- dall’esame del verbale di sequestro, laddove la misura cautelare è stata applicata solo al borsone e non al suo contenuto, di cui non si fa menzione perché evidentemente restituito ai prevenuti.
A ciò occorre aggiungere che pur diversamente opinando, alla circostanza non poteva attribuirsi alcuna rilevanza decisiva ai fini dell’affermazione della penale responsabilità, ben potendo gli imputati averne acquisito la disponibilità del borsone in un momento successivo al furto, in ipotesi rinvenendolo dopo che l’autore se ne era disfatto.
Con riguardo al secondo elemento preso a riferimento dal tribunale vastese, l’imputata ricorda di avere dedotto in appello l’irrilevanza del presunto riconoscimento da parte della teste T.G., perché la stessa in controesame aveva precisato che i fatti riferiti, ossia di due giovani che si sarebbero recati presso il suo albergo per chiedere delle candele, si sarebbero svolti in epoca successiva al furto per cui è causa. Infatti, il furto risulta essere stato denunciato in data 11.2.2014, mentre i fatti riferiti dalla T. si sono svolti nel giugno 2014. Invero, la teste ha riferito che dopo l’ennesima richiesta di candele contattava i Carabinieri e l’indomani si recava in Caserma per il riconoscimento (teste T.: “… Siccome l’ho fatto altre volte anni fa e poi si è verificato utile, ho detto mò faccio una telefonata e vediamo. Poi mi ha risposto il Maresciallo e mi ha detto senta va bene, venga domani mattina, facciamo il verbale”).
Orbene, tenuto conto che il verbale di SIT e il verbale di riconoscimento fotografico recano la data del 12 giugno 2014 mentre il furto è stato scoperto nel febbraio 2014, i residui di candela rinvenuti nell’appartamento del Ma. non potevano appartenere alle candele che la T. ha consegnato ai due individui nel giugno 2014, ipoteticamente riconosciuti negli odierni imputati.
Con un secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge laddove la Corte territoriale ritenuto la sussistenza della ipotesi delittuosa di cui all’art. 624 bis c.p..
Viene ricordato che il tribunale aveva accertato che “… l’intento sottrattivo si è verificato in itinere ovvero nel corso dell’abusiva occupazione di un alloggio” (il richiamo è a pag. 2 della motivazione sentenza di primo grado).
Ebbene, l’imputata aveva sottoposto ai giudici del gravame del merito la considerazione che, secondo la ricostruzione operata dal tribunale, ella e il D. si trovavano già da tempo all’interno dell’appartamento tanto da occuparlo, con la conseguenza che la condotta furtiva difettava dello speciale requisito richiesto dalla norma, non essendovi diretta correlazione causale tra l’introduzione nell’abitazione ed il furto del borsone.
La Corte territoriale ha rigettato il motivo di gravame – ci si duole- ritenendo che “sussiste il reato contestato dato che indiscutibilmente i prevenuti hanno approfittato della introduzione in casa per commettere il furto e quindi vi è la strumentalità richiesta dalla norma incriminatrice, anche se detta introduzione potrebbe essere avvenuta inizialmente per altro scopo”.
Questa interpretazione contrasterebbe con la radicata giurisprudenza in materia, secondo cui l’associazione tra il fatto “introduzione” ed il fatto “furto” non è automatica, né presunta (vengono richiamati gli arresti giurisprudenziali costituiti da Sez. 2, n. 2347/2004, sez. 5 n. 14868/2010).
Nel caso di specie sarebbe provato che la finalità per cui i soggetti si sono introdotti nell’abitazione è stata unicamente quella di alloggiarvi temporaneamente. Si ricorda in ricorso che la teste T.G. ha riferito che i soggetti si sono a lei presentati chiedendo delle candele due volte, a distanza di una settimana l’una dall’altra, a dimostrazione della permanenza in loco. E la permanenza sarebbe altresì dimostrata dal rinvenimento, nella casa, di tracce di cera (dello stesso colore delle candele date dalla teste T.), residui di cibo, disordine, e piatti sporchi.
Ne conseguirebbe l’innegabile conclusione logica che i soggetti non si sono introdotti nell’immobile per sottrarre il borsone, bensì per il diverso fine di trovarvi temporaneo ricovero notturno. La sottrazione del borsone (fermo restando che la stessa non potrebbe essere imputata alla prevenuta per i rilievi su svolti) sarebbe avvenuta occasionalmente, e non sarebbe consistita nella finalità determinante l’introduzione nell’immobile del denunciante.
Pertanto, non potrebbe configurarsi la fattispecie contestata. Secondo la tesi proposta in ricorso la fattispecie della sottrazione andava tutt’al più ricondotta – e derubricata – all’ipotesi di cui all’art. 624 c.p., con conseguente ricognizione del difetto della condizione di procedibilità, perché il denunciante non ha sporto formale querela.
Con un terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell’aggravate di cui all’art. 625 c.p., n. 2.
La Corte aquilana -si sostiene- avrebbe dovuto in ogni caso escludere la sussistenza dell’aggravate ex art. 625 c.p., n. 2, posto che la presunta condotta violenta, per le ragioni esposte al punto che precede, non sarebbe stata realizzata in occasione della sottrazione del borsone, ma tutt’al più per l’abusiva occupazione dell’immobile.
Con un quarto motivo di ricorso si deduce violazione di legge per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.
Con il terzo motivo d’appello l’imputata ricorda di avere contestato l’omesso riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità, tenuto conto del modesto valore del borsone oggetto del furto. Infatti, malgrado la p.o. Ma.Gi., a precisa domanda circa il valore del borsone, avesse riferito testualmente “poco” e la presa d’atto del tribunale circa lo “scarso valore del bene sottratto”, il giudice di prime cure aveva immotivatamente omesso di valutare il fatto ai fini della concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.
Ebbene, ci si duole che la Corte territoriale abbia disatteso il motivo di gravame assumendo che “non vi sono le condizioni perla concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 c.p., n. 4 in quanto non vi è certezza del valore del bene sottratto, che comunque va valutato in relazione non solo al borsone ma anche agli abiti che vi erano dentro ed al danno arrecato con forzatura della finestra”.
La motivazione sarebbe priva di pregio in quanto, in ordine al valore del borsone, la stessa p.o., a specifica domanda, lo ha così definito: “poco”.
In ordine agli indumenti che vi erano all’interno, inoltre il M.llo Z. ha chiarito che gli abiti erano dei prevenuti e non della persona offesa.
Quanto al danno agli infissi, la p.o. ha riferito che era stato semplicemente rotto il vetro della finestra del bagno.
Pertanto, non sarebbe condivisibile la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale in quanto il danno sofferto dal Ma., ancorché non sia stato quantificato, è comunque da ritenersi di scarsa importanza, essendo questo identificabile in un borsone, riconosciuto dalla stessa p.o. di scarso valore, e nel costo per la sostituzione di un vetro di una finestra. Pertanto, in base agli elementi di valutazione emersi con l’istruttoria dibattimentale, appare ragionevole ritenere che il danno subito dalla p.o. sia di speciale tenuità.
Con un quinto motivo di ricorso si deduce violazione di legge per avere la Corte territoriale, nel giudizio di bilanciamento della circostanza, erroneamente escluso la prevalenza delle attenuanti generiche e del danno di speciale tenuità rispetto all’aggravante contestata e alla recidiva.
Con l’ultimo motivo d’appello l’imputata ricorda di avere eccepito che il tribunale aveva erroneamente condotto il giudizio di bilanciamento delle circostanze, dovendo ritenere le riconosciute attenuanti generiche e l’invocata attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 prevalenti rispetto alla contestata aggravate e alla recidiva.
La Corte territoriale – ci si duole- ha omesso di pronunciarsi sul punto.
In proposito, si torna a ribadire che tenuto conto delle concrete modalità della condotta contestata, in particolare che l’abitazione presso cui è stato asportato il borsone era disabitata, del modestissimo valore del bene sottratto, nell’operare il bilanciamento delle circostanze, sia il Tribunale che la Corte territoriale, avrebbero dovuto ritenere le attenuanti generiche e l’attenuante della speciale tenuità del fatto prevalenti rispetto all’aggravate contestata e alla recidiva, “ciò al fine di adeguare la pena al fatto così come risultato all’esito dell’espletata istruttoria”.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

– D.A., con un primo motivo deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’avvenuta identificazione quale autore del furto, in concorso con la M..
Evidenzia che la teste T. non ha mai visto il D., in quanto ha detto che quando ricevette la vista di due persone che le chiedevano delle candele l’uomo rimase all’esterno. E neppure lo ha mai riconosciuto in foto dai Carabinieri.
Con un secondo motivo si deduce vizio motivazionale in relazione all’identificazione di quello che era un borsone seriale e che non presentava alcuno specifico elemento di riconoscimento.
Con un terzo motivo, sempre a proposito del borsone, denuncia travisamento della prova in relazione all’affermata circostanza che all’interno del borsone vi fossero indumenti della persona offesa, essendo, invece, rimasto provato che c’erano abiti di proprietà dei prevenuti.
Con un quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione alla ritenuta strumentalità dell’introduzione in casa per realizzare il furto.
Il motivo è analogo a quello proposto dalla M. e tende ad evidenziare che nel caso di specie la finalità per cui il D. e la M. era quella di soggiornarvi temporaneamente e non di rubare, per cui non potrebbe configurarsi il furto in abitazione.
Con un quinto motivo si deduce travisamento della prova, ancora una volta in relazione alla ritenuta circostanza che i vestiti all’interno del borsone fossero del derubato e non dei due giovani. Il che -si lamenta- ha impedito agli stessi, secondo l’iter motivazionale del provvedimento impugnato, anche di fruire della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.
Entrambi i ricorrenti chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, nei limiti che si andranno a precisare.

2. Innanzitutto sono fondati i motivi che denunciano un travisamento della prova laddove la Corte aquilana, nella sua scarna motivazione, desume la circostanza che il borsone, ancorché di tipo seriale, fosse proprio quello sottratto dall’abitazione del Ma. dalla circostanza che “all’interno vi erano gli abiti della p.o.”.
Si tratta, infatti, di affermazione, che pare stridere con l’affermazione riportata a pag. 3 della sentenza di primo grado laddove si riferisce il Narrato del M.llo Z. secondo cui i due fermati avevano custodito degli abiti che pare di intendere fossero propri.
In proposito, va ricordato, che in tema di motivi di ricorso per cassazione, a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, comma 1, il legislatore ha esteso l’ambito della deducibilità del vizio di motivazione anche ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, così introducendo il travisamento della prova quale ulteriore criterio di valutazione della contraddittorietà estrinseca della motivazione il cui esame nel giudizio di legittimità deve riguardare uno o più specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza (cfr. ex multis Sez. 3, n.:38431 del 31/1/2018, Ndoja, Rv. 273911).
Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato o, come nel caso che ci occupa, che i vestiti contenuti nel borsone non fossero della persona offesa ma degli imputati).
Il giudice del rinvio dovrà, pertanto, rivalutare tale punto, sia ai fini della responsabilità, che del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, avendo, come ricordato in premessa, i ricorrenti evidenziato gli specifici atti da cui risulterebbe il travisamento della prova.

3. Fondati, inoltre, sono i profili di doglianza che riguardano la ritenuta sussistenza del furto in abitazione.
Ed invero, ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione (art. 624bis c.p.) è necessario che sussista il nesso finalistico – e non un mero collegamento occasionale – fra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, in quanto il nuovo testo dell’art. 624 bis c.p., novellato dalla L. n. 128 del 2001, art. 2, comma 2, pur ampliando l’area della punibilità in riferimento ai luoghi di commissione del reato, non ha, invece, innovato in ordine alla strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, già preteso dalla previgente normativa di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 1, (cfr. Sez. 5, n. 21293 del 1/4/2014, Licordari, Rv. 260226 che, nel caso sottoposto al suo esame, essendo il furto avvenuto sfruttando un’occasione propizia ha ritenuto sussistono gli estremi costitutivi della fattispecie di furto aggravato dall’abuso di ospitalità, ex art. 624 c.p. e art. 61 c.p., comma 1, n. 11).
Questa Suprema Corte è intervenuta in molteplici occasioni in proposito, ritenendo la mera occasionalità insufficiente a configurare la fattispecie contestata, sia in relazione alla fattispecie, ora abrogata, dell’art. 625 c.p., comma 1, sia, nell’invarianza dei criteri logici ed ermeneutici applicabili, a quella successivamente introdotta dell’art. 624 bis c.p. In applicazione di tale principio, questa Corte, ad esempio, in altra pronuncia ha censurato la decisione con cui il giudice di appello aveva confermato la responsabilità degli imputati, in ordine al reato di cui all’art. 624 bis c.p., per essersi impossessati all’interno dei locali di una ditta di un borsello, senza curarsi di motivare l’assunto difensivo secondo cui i due imputati erano entrati nei locali della ditta allo scopo di noleggiare un apparecchio per il caffè ed avevano poi approfittato dell’occasionale presenza di altro cliente per impadronirsi del suo borsello (Sez. 5, n. 14868 del 15/12/2009 dep. il 2010, Franquillo, Rv. 246886).
Ed invero, la dizione “mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora”, propria del testo attuale, chiaramente esprime una strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, non diversa da quella precedentemente espressa con le parole “per commettere il fatto, si introduce o si intrattiene in un edificio…”.
Ben diversamente si è espresso il legislatore quando ha voluto prescindere dal nesso finalistico, correlando le aggravanti di cui all’art. 625 c.p., nn. 6 e 7 alla pura e semplice collocazione delle cose sottratte in determinati luoghi, uffici o stabilimenti.
Per giunta – come rilevava già la richiamata Sez. 5 n. 21293/2014- l’esegesi letterale della norma porta a rilevare che la nuova disposizione non ha riprodotto la possibilità di configurare la fattispecie anche nel caso in cui l’impossessamento sia realizzato durante l’abusivo trattenimento nell’edificio, previsto invece espressamente dall’art. 625, n. 1. in quel caso, perciò, questa Corte di legittimità ritenne correttamente configurabile solo l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11.
Viceversa, si avrà furto in abitazione quando l’introduzione nell’abitazione del soggetto passivo avvenga a seguito di consenso di quest’ultimo carpito con l’inganno (Sez. 5, n. 13582 del 02/03/2010, Torre, Rv. 246902), poiché la fattispecie incriminatrice dettata dall’art. 624bis richiama indubbiamente la sottostante condotta di violazione di domicilio, sanzionata dall’art. 614 c.p., norma che riguarda comportamenti di introduzione nell’altrui dimora, realizzati “con inganno” ovvero “contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto di escluderlo”.

4. Ebbene, nel caso di specie è provato che la finalità per cui i soggetti si sono introdotti nell’abitazione è stata quella di alloggiarvi temporaneamente. In tal senso anche la rilevata effrazione della finestra non pare poter ricondursi all’evento furtivo.
La teste T.G. (che ha sì riferito i fatti a giugno, ma per come accaduti nel precedente inverno) ha ricordato che i soggetti si sono a lei presentati chiedendo delle candele due volte a distanza di una settimana l’una dall’altra, a dimostrazione della permanenza in loco.
La permanenza in loco dei due imputati è altresì dimostrata – come si evince dalle sentenze di merito- dal rinvenimento, nella casa, di tracce di cera (dello stesso colore delle candele date dalla teste T.), di residui di cibo, disordine, e piatti sporchi.
Ne consegue l’innegabile conclusione logica che il D. e la M. non si sono introdotti nell’immobile per sottrarre il borsone, o comunque per rubare, bensì per il diverso fine di trovarvi temporaneo ricovero.
La sottrazione del borsone è dunque avvenuta occasionalmente, e non è consistita nella finalità determinante l’introduzione nell’immobile del denunciante.
Pertanto, ritiene il Collegio che non potesse configurarsi il reato contestato.
Colmato il sopra ricordato deficit motivazionale in punto di affermazione di responsabilità e di prova dell’altruità del borsone sottratto, la fattispecie della sottrazione potrà, al più, essere ricondotta – e derubricata – all’ipotesi di cui all’art. 624 c.p., con conseguente ricognizione della presenza o meno della condizione di procedibilità che dovrà essere operata dal giudice del rinvio.
Poiché si è andati a dibattimento per un reato procedibile di ufficio, infatti, la querela potrebbe essere legittimamente rimasta nel fascicolo del PM e non ancora transitata in quello dibattimentale.
Gli altri profili di doglianza restano evidentemente assorbiti dall’accoglimenti di quelli sopra illustrati, che impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia, constando la Corte aquilana di un’unica sezione.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2019

 

 

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