La scriminante della provocazione nel reato di diffamazione on-line
Cassazione Penale, Sezione Quinta, 7 agosto 2018, Sentenza n. 381231
Lo stato d’ira, espresso via mail a più persone da parte di colui che non riceve un pagamento promesso, non è punibile, operando la scriminante prevista dall’art. 599, comma 2, c.p.
E’ ciò che è stato statuito dalla Suprema Corte che ha chiarito un principio ormai consolidatosi in giurisprudenza in tema di provocazione e stato d’ira.
Ad avviso della giurisprudenza di legittimità, la norma in parola può applicarsi anche nel caso, come quello di specie, in cui all’imputato sia contestato di aver offeso la reputazione di una società e del suo rappresentante per aver scritto un messaggio del seguente tenore: “che avrebbe fatto il possibile per evitare” che l’azienda in questione “derubasse altra gente onesta”. L’imputato, aveva poi inoltrato il messaggio sia alla casella di posta elettronica personale del rappresentante, sia alla mail della società, visualizzabile da più persone.
Già i Giudici di merito avevano ritenuto che le offese dipendessero da uno stato di esasperazione dell’imputato, dettato da un comportamento scorretto della società che non aveva rispettato il pagamento di fatture per le prestazioni da lui eseguite; tale stato di esasperazione era stato anche alimentato dalla scoperta di commenti su diversi siti Internet, dai quali emergeva che l’azienda si era resa inadempiente anche nei confronti di altri soggetti.
Il Supremo Consesso, dunque, ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla parte civile che contestava la decisione di assoluzione (perché il fatto non costituisce reato) dell’imputato confermata anche dalla Corte d’Appello, stabilendo che sussiste l’esimente della provocazione nel caso in cui lo stato d’ira, che ha provocato la reazione ingiuriosa, sia stato determinato “a fronte di rassicurazione sui pagamenti” da parte di chi avrebbe dovuto adempiere e che, al contrario, ha serbato “un comportamento volutamente silente”.
Tale atteggiamento è ritenuto dalla giurisprudenza una violazione di quelle regole di pratica commerciale che giustifica, quindi, anche per il contesto in cui si è manifestato, una reazione impulsiva.
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