Criteri distintivi dei delitti di concussione e di indebita induzione a dare o promettere utilità
Cassazione Penale, Sesta Sezione, 5 luglio 2018, Sentenza n. 30436
Fin dall’entrata in vigore della L. 190/2012, c.d. Legge anticorruzione, che ha previsto la suddivisione del previgente articolo 317 c.p. nelle due distinte fattispecie di concussione (attuale art. 317 c.p.) e di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.), la Suprema Corte è stata coinvolta nella elaborazione giurisprudenziale dei criteri distintivi delle due fattispecie in questione.
Nella pronuncia in esame, il Supremo Consesso ha affermato che nei casi più ambigui, collocabili al confine tra la configurazione dell’uno e dell’altro reato, è necessario che il giudice ponga la sua attenzione su quei criteri di valutazione che contraddistinguono gli stessi, ovvero il danno antigiuridico nel reato di concussione ed il vantaggio indebito per l’induzione indebita. Essi devono essere, secondo le parole della Corte stessa, “utilizzati nella loro operatività dinamica all’interno della vicenda concreta, individuando, all’esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti”.
Sarà invece necessario procedere ad una graduazione dei requisiti in questione per poter giungere alla corretta configurazione di tutti quei casi di minaccia-offerta o minaccia-promessa, in cui risulta arduo stabilire un preciso criterio distintivo ed un limite definito che separi l’ambito applicativo dei due reati di concussione e di induzione indebita, oltre, ovviamente, a ricorrere a criteri sussidiari che possano aiutare nella distinzione delle due fattispecie penali.
Nel caso di specie, l’imputato era stato processato per aver, in qualità di funzionario dell’Agenzia delle Entrate, indotto i titolari di alcune imprese a consegnargli delle somme di denaro per evitare possibili esiti negati del controllo fiscale; la Suprema Corte annullava con rinvio per nuovo giudizio la sentenza della Corte di Appello di Bologna, perché la Corte d’Appello stessa, nel confermare la condanna per concussione, non aveva provveduto a motivare in merito ai criteri appena indicati ed a verificare gli elementi distintivi delle due fattispecie, come l’effettiva sussistenza della minaccia, il possibile profitto ottenibile dalla persona offesa, la posizione simmetrica o meno delle parti coinvolte.
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