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Appropriazione indebita mediante sottrazione definitiva dei dati informatici e  qualificabilità degli stessi come “cosa mobile”

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Cassazione penale sez. II, 07/11/2019, n. 11959

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione affronta la questione relativa alla possibilità di qualificare i dati informatici – o i singoli file che li contengono – come cose mobili ai sensi delle disposizioni della legge penale, e conseguentemente poterli valutare quali oggetto di reati contro il patrimonio.

Per il diritto sono cose tutti gli oggetti corporali e quelle altre entità naturali che hanno un valore economico e sono suscettibili di appropriazione (rientrano in tale nozione, per espressa previsione del legislatore, anche le energie).

Più in generale, in tema di reati contro il patrimonio, per “cosa mobile” deve intendersi qualsiasi entità di cui sia possibile la fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione e che sia in grado di spostarsi autonomamente ovvero di essere trasportata da un luogo ad un altro, compresa quella che, pur non mobile originariamente, sia resa tale mediante l’avulsione o l’enucleazione dal complesso immobiliare di cui faceva parte.

Quanto ai dati informatici, che costituiscono beni immateriali, si registra un’evoluzione giurisprudenziale.

La giurisprudenza più risalente, infatti, era concorde nell’escludere la configurabilità dei reati contro il patrimonio verso ogni tipo di entità immateriale, siccome non suscettibile di apprensione fisica.

I più recenti arresti della Suprema Corte, tuttavia, propongono una interpretazione evolutiva (condotta secondo i criteri orientativi elaborati dalla Corte Costituzionale) del concetto di cosa mobile in materia penale.

In particolare, con la sentenza Carluccini, la Corte afferma il seguente principio di diritto: “i dati informatici (file) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e pertanto costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer formattato” (Cass. Sez. II, sent. n. 11959/2019).

Secondo la Corte di Cassazione, i dati informatici, lungi dall’essere entità astratte, trovano la propria dimensione fisica nella estensione, ossia in una dimensione dipendente dalla quantità di dati contenuti e che occupa una porzione quantificabile di memoria. Sono, inoltre, suscettibili di operazioni tecniche realizzabili attraverso il sistema operativo, quali la creazione, la copiatura e l’eliminazione.

L’analisi della nozione scientifica del dato informatico consente, dunque, una assimilazione del file alla nozione di cosa mobile, di cui condivide la caratteristica di fisicità, anche se non materialmente percepibile all’esterno.

Tali caratteristiche (struttura, estensione, capacità e trasferibilità con collegamenti virtuali) attestano sul piano logico la possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione, prescindendo dalla relazione fisica con il bene tipica della detenzione materiale e della conseguente apprensione, esternamente percepibile solo se il dato sia fissato su un supporto digitale che lo contenga.

 

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