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Reato di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.): configurabile anche mediante SMS e WhatsApp, a nulla rileva la possibilità di bloccare il mittente.

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Cassazione, Prima Sezione Penale, Sentenza n. 37974 del 18 marzo 2021 (depositata il 22 ottobre 2021)

Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto la configurabilità del reato di molestia o disturbo delle persone col mezzo del telefono, punito ai sensi dell’art. 660 c.p., anche nei casi di inoltro di messaggi SMS o tramite l’applicazione di messaggistica istantanea WhatsApp.

Con la sentenza in questione il Supremo Consesso ha, preliminarmente, chiarito che il bene giuridico  tutelato dall’art. 660 c.p. è la tranquillità pubblica, in ragione dei potenziali effetti sull’ordine pubblico “di quei comportamenti idonei a suscitare nel destinatario reazioni violente o moti di ribellione”, e non l’interesse del privato, che riceverebbe esclusivamente una protezione “riflessa”.

La questione giuridica al centro della decisione è se la locuzione “col mezzo del telefono” contenuta nell’art. 660 c.p. possa oggi esse estesa ad innovazioni tecnologiche in passato non esistenti.

In primo luogo la Suprema Corte ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità in materia di configurabilità del reato di molestia nel caso di inoltro di messaggi di posta elettronica, mutata nel corso del tempo fino ad arrivare ad affermare che con “col mezzo del telefono” debba intendersi “qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lo stesso di sottrarsi alla ‘immediata’ interazione con il mittente“.

Ciò che rileva per discernere cosa debba o meno rientrare in tale locuzione è, quindi, “il criterio dell’invasività del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario dell’azione perturbatrice” rilevando ogni messaggio che si sia costretti a percepire, sia de audito che de visu, data l’estratta idoneità di entrambi i tipi di comunicazione a “mettere a repentaglio la libertà e la tranquillità psichica del ricevente“.

La Prima Sezione è, quindi, arrivata alla conclusione che, se rileva “il carattere invasivo della comunicazione non vocale“, che può essere configurato anche dalla percezione immediata dal parte del destinatario della notifica di arrivo del messaggio o di parte del contenuto di esso (c.d. anteprima), sia gli SMS che WhatsApp debbano considerarsi idonei a realizzare una diretta ed immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente.

La Suprema Cassazione ha poi affermato che non rileva, ai fini dell’esclusione del reato, la possibilità per il destinatario dei messaggi di bloccare il contatto del mittente in modo da inibirne l’azione molesta.

La Corte Suprema ha, quindi, confermato la sentenza di condanna, in quanto, nel caso di specie, il reo aveva posto in essere delle comunicazioni moleste tramite SMS e WhatsApp, con numerosi messaggi inviati, anche in orario serale e notturno, per oltre sette giorni.

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